Quando gli incidenti e le morti per patologie contratte sul posto di lavoro sono ricorrenti, e protratte negli anni perchè nessuno interviene a mettere in campo le opportune misure di sicurezza, allora davanti al giudice - di quei morti - deve rispondere tutto il Consiglio di amministrazione della società datrice di lavoro.
E dalla responsabilità di fronte alla legge - con la conseguenza della condanna penale e al risarcimento dei danni per i familiari delle vittime e per i sindacati - il gruppo manageriale non si salva con l'escamotage di delegare a un singolo il settore della salute. Anche in caso di delega paghera' tutto il vertice societario, dall'amministratore delegato all'ultimo direttore di stabilimento.
Lo ha deciso la Cassazione nel deposito delle motivazioni relative al processo per gli 11 operai morti nello stabilimento piemontese 'Montefibre' di Verbania, infestato dall'amianto dal 1972 al 1996. Qui hanno lavorato 3.600 operai esposti alle polveri soffocanti dell'amianto che 'Montefibre' ha deliberatamente scelto di proseguire ad utilizzare, a Verbania, per coibentare i tubi del raffreddamento nella lavorazione del nylon, anche dopo il 1980 quando erano ormai noti i suoi effetti letali. Il motivo era semplice: costava meno delle fibre in vetro e degli altri materiali isolanti e termoresistenti che, pure, erano stati adottati in altri stabilimenti della stessa società.
Nemmeno le mascherine per naso e bocca erano state fornite ai lavoratori, e le coibentazioni avvenivano a ciclo produttivo in corso, con le polveri che si levavano dappertutto. Amianto ''usato in modo massiccio'' ricorda la Suprema Corte - nella sentenza 38991, 74 pagine scritte dal consigliere Fausto Izzo - e senza fornire alcuna informazione a chi lo respirava. Ma la Cassazione non si accontenta di inchiodare Cda e manager vari alle loro dolose omissioni. Si spinge oltre e afferma il diritto dei sindacati e delle associazioni, che a vario titolo sono sempre stati accanto ai lavoratori esposti a rischi per la salute, a ricevere un risarcimento dei danni patrimoniali e morali.
In risposta a 'Montefibre' e ai manager condannati dalla Corte di Appello di Torino - il 25 marzo 2009 - che non volevano risarcire Cgil e 'Medicina democratica' sostenendo che dall'amianto non erano stati direttamente danneggiati, la Suprema Corte ha spiegato che il sindacato può aver subito un ''danno economico per la riduzione dei lavoratori iscritti a causa del venir meno della fiducia nella sua capacità rappresentativa''. Inoltre sia la Cgil sia 'Medicina democratica', ma il discorso vale per tutti gli enti di fatto, hanno il diritto al risarcimento del danno morale ''per la lesione dell'interesse statutariamente perseguito di garantire la salute dei lavoratori nell'ambiente di lavoro, presidiato costituzionalmente dagli articoli 2 e 32 della Costituzione''.
Fissati questi importanti principi, la Cassazione ha convalidato le condanne per omicidio colposo di tre operai morti per asbestosi, malattia - scrivono i supremi giudici - ''firmata dall'amianto'' mentre ha disposto un approfondimento di motivazione per le condanne relative a otto operai morti per mesotelioma alla pleura. In questo caso i giudici di appello dovranno spiegare perchè tra la ''teoria multistadio'', in base alla quale il male avanza con il protrarsi dell'esposizione all'amianto, e la ''teoria della dose killer'', in base alla quale anche una sola esposizione è letale, hanno scelto la prima opzione dato che gli studi scientifici non sono univoci.
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